Flavio Briatore e Donald Trump, un’amicizia che dura da 30 anni. I retroscena dell’imprenditore italiano sul tycoon.
Intervista a Il Giornale per Flavio Briatore che ha raccontato alcuni aspetti inediti del suo rapporto di amicizia con Donald Trump. Il noto imprenditore italiano ha svelato di aver conosciuto l’attuale candidato alla Casa Bianca, reduce dall’attentato subito, ben 30 anni fa e di aver instaurato con lui un certo tipo di legame.
Flavio Briatore e l’amicizia con Trump
Nel corso dell’intervista Briatore ha sottolineato come sia legato a Trump da “una grande amicizia” che risale da prima che lui “fosse eletto presidente”. Pare che i due si vedessero “molto spesso”. Cosa che accade pure ora: “Ma anche adesso ci sentiamo almeno due volte al mese e poi ci vediamo spesso a New York. Mi aveva nominato suo rappresentante in Europa per The Apprentice, il talent show per imprenditori che ha avuto un successo incredibile in tutto il mondo e che avevo già fatto”, ha detto l’imprenditore italiano sottolineando di aver sentito proprio il tycoon “giusto due settimane fa”.
Briatore ha poi svelato un particolare retroscena legato al primo incontro con il candidato alla presidenza degli Stati Uniti: “A New York. Lui era un costruttore. Non era un leader politico. Eravamo un gruppo di imprenditori. Poi l’ho portato in Europa per la prima volta nel 1995. Quasi 30 anni fa. A Parigi. Lui viaggia poco. Avevo appena vinto il campionato del mondo di Formula 1 con la Benetton. Donald non si capacitava della gente che mi circondava e mi chiedeva gli autografi. Poi ci siamo visti tante volte. Donald è molto professionale. Tra noi c’è un rapporto molto forte”, le parole dell’uomo che ha poi paragonato Trump a Silvio Berlusconi per qualità da leader.
L’attentato subito dal tycoon
Riguardo al recente attentato che ha visto Trump rischiare la vita, Briatore ha detto: “Ho subito pensato ai fratelli Kennedy. Alla loro tragica fine. Al vizio degli americani di sparare ai presidenti e ai candidati alla presidenza. Appena viste le immagini ho chiamato un amico comune e mi ha detto che Donald stava bene. Tanto panico e un rischio enorme. Se il fucile fosse stato spostato di un centimetro o due a sinistra sarebbe morto. Il proiettile gli avrebbe trapassato il cervello. È già successo. Con Lincoln, con John Kennedy. Non deve più succedere. Bisogna trovare il modo perché non succeda più”.